UN SALUTO AGLI INDIGENI PRIMA DI VOLARE A SALVADOR

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Ultimi scampoli a Rio Preto per i nostri amici, poi la loro avventura proseguirà alla volta di Salvodor de Bahia.

Oggi, però, consigliati da padre Robert, hanno deciso di fare visita alla locale comunità indigena. Una cosa all’apparenza tranquilla, ma vedremo che sarà tutt’altro che così. Partenza in moto taxi dalla missione. In cinque minuti si arriva all’ingresso della zona indios. Ad accogliere gli ospiti dovrebbe esserci tale Ramon.20140616_090703_resized_3

Ovviamente non c’è nessuno. I motoristi lasciano i nostri nelle mani di un anziano signore che si presenta come Fausto. È il padre di Ramon, che annuncia il ritardo del figlio. “Muovetevi come volete”, dice gentilmente il vecchio. I nostri eroi ringraziano e iniziano a camminare nella vegetazione che si fa più fitta. In realtà, padre Robert aveva preso accordi per un semplice racconto della storia della comunità. Vagando tra le case, i due arrivano a una piccola radura, delimitata da due piccole porte di legno. Anche gli indios giocano a calcio!

Poi la strada scende, diventando sentiero, con alberi sempre più alti ai lati. Al termine di una breve discesa, ecco un corso d’acqua, tagliato da un ponticello diroccato. La strada è chiaramente bloccata. Non si può proseguire. Ovviamente i nostri amici sono abbigliati per una semplice visita, non per un corso di sopravvivenza nella foresta. A malincuore tornano indietro, quando ecco che un ragazzo sulla trentina, con canottiera e pantaloni della tuta griffati Adidas, gli si fa loro incontro. “Sono Ramos”.

Il fiume da guadare

Dopo una breve presentazione, il giovane spiega loro la storia della comunità indigena di Rio Preto, nata nel 1991 da un’idea di un turista americano.

 

Al termine del breve racconto, Ramon indica su una mappa il perimetro dell’area e chiede ai nostri due ignari amici di seguirlo nell’esplorazione guidata. Il giornalista e il regista, dopo essersi guardati dubbiosi, decidono di seguire Ramon. Arrivano tranquillamente fino al ponte diroccato, che, pochi minuti prima, era stata la loro barriera. Qui Ramon imbocca una strettoia che scende rapidamente nell’acqua. Inutile sottolineare come l’indigeno conosca ogni centimetro di quel territorio, ovviamente i nostri due eroi non possono dire la stessa cosa, così, al primo passo il loro piede affonda in una specie di sabbia mobile, fortunatamente i due si aggrappano a un ramo e riescono a scongiurare il pericolo di sapere se lo fosse oppure no. Iniziano le prime imprecazioni contro padre Robert.

Il percorso prosegue nel cuore della foresta. Ramon decide di fermarsi spesso, per spiegare ai due alcune tradizioni della vita indigena. Parla di formiche capaci di uccidere con i loro spuntoni, di serpenti che, quando piove, camminano ai lati dei sentieri, mentre con il sole si intrufolano in mezzo alle gambe di chi percorre quei sentieri (e fortuna che oggi piove), poi illustra ai due temerari le tre cose da notare quando si ha di  fronte un serpente, per capire se sia velenoso o meno.

Tutte cose interessantissime, se non che il giornalista, in discreto portoghese, non esclama: “Secondo te, se io vedo un serpente, mi metto a riflettere su questi particolari?”. Ramon ride e rassicura i due: “Se doveste venire morsi, ho con me il materiale di primo soccorso”. “Ah beh, allora stiamo tranquilli”, la risposta del giornalista.

Il cammino dura circa una ventina di minuti, quando di fronte ai tre si para un altro corso d’acqua. Un tronco unisce le due rive, circa una quindicina di metri tra una e l’altra. Profonditá massima dell’acqua intorno al metro e mezzo. “È pulita – dice Ramon, – qui veniamo a fare il bagno. Si possono trovare le anaconde, ci sono anche dei piccoli pesci carnivori, ma per il resto non c’è pericolo. Se volete andare avanti, bisogna guardare”. I due ragazzi si guardano straniti. Il regista dice: “Con l’attrezzatura non vado. Se cade in acqua, il film va a donne di facili costumi”.

Fiume guadato!!Il giornalista pensa: “Se proseguendo possiamo poi comprare i souvenir locali, perchè non andare. Se lo fa lui…”. In effetti Ramon fa il tragitto fischiettando, mentre il nostro eroe lo fa piegato sulle ginocchia e sudando freddo a ogni passo. Arrivato sull’altra sponda esulta imprecando contro l’ormai famigerato padre Robert. Ramon torna per prendere lo zaino con l’attrezzatura del regista. Arrivato all’altra riva, però, dice che il percorso termina con il guado del fiume. Ma come? Il regista allora declina l’invito a guadare, mentre il giornalista, maledicendo in italiano non riportabile l’indigeno, si prepara nuovamente a guadare, con il regista che dapprima lo filma, poi lo schernisce insieme all’indigeno: “Sei stato bravo, la maggior parte delle persone che porto qui cade in acqua e non è sempre piacevole”. Non riporto la risposta del giornalista per ovvie ragioni…

Inspiegabilmente il percorso di ritorno dura solamente pochi minuti. I due protagonisti rimangono sbalorditi dal minor tempo utilizzato per tornare. “La foresta spesso inganna“, la risposta di Ramon. Dopo un breve shopping in un paio di approssimative dimore locali, i nostri eroi salgono sulle moto taxi per andare a riempire di improperi padre Robert. Chissà se anche questa volta avrà pregato per loro.


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14 thoughts on “UN SALUTO AGLI INDIGENI PRIMA DI VOLARE A SALVADOR”

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